La Cina ha condannato a morte il Tibet che ormai vive sotto "la legge marziale": e' il grido di dolore del Dalai Lama, che da Tokyo ha anche ribadito la scelta annunciata una settimana fa di mettersi momentaneamente da parte dopo che la linea del dialogo con Pechino non ha prodotto risultati.
"Per i tibetani e' stata pronunciata una condanna a morte", ha denunciato il leader spirituale del popolo himalayano, in visita per una settimana in Giappone proprio mentre i suoi emissari si accingono ad avviare un'ottava tornata di colloqui con Pechino. "Questa antica nazione e la sua eredita' culturale stanno morendo", ha dichiarato ai giornalisti.
Per il Dalai Lama il Tibet e' praticamente sotto "occupazione militare" ed "e' come essere sotto la legge marziale: la paura, il terrore e la rieducazione politica stanno causando molto risentimento".
Questo nuovo messaggio pessimistico del settantratreenne premio Nobel per la Pace arriva a due settimane dalla sessione speciale del parlamento in esilio in programma il 17 novembre a Dharamsala. A quella riunione il Dalai Lama ha anticipato che avra' un ruolo da "semi-pensionato", dopo esser stato per decenni la guida spirituale e politica del suo popolo. "Non credo che mi ritirero' del tutto", ha spiegato, "ma fin quando tratto con Pechino non posso assumere una piena responsabilita', la mia posizione e' completamente neutrale".
L'incontro del 17 fra tutte le componenti tibetane potrebbe segnare una svolta con l'abbandono della linea del dialogo, anche alla luce delle speranze deluse di arrivare all'autonomia
in cambio della rinuncia all'indipendenza. In questo senso le Olimpiadi di Pechino hanno confermato che la Cina non e' disposta ad allentare la presa sulla regione. Un'altra riunione
di sostenitori internazionali del Tibet e' in programma a fine mese a New Delhi.