di Nirmala Carvalho
Il Dalai Lama ha preso atto che Pechino non vuole concedere nulla e usa “il dialogo” solo per rinnovare false accuse di violenza. Ora i tibetani cercheranno nuove forme di confronto non violento. Intervista a uno dei leader.
Dharamsala (AsiaNews) – La nuova situazione in Tibet dopo le proteste e la repressione di marzo, la linea di azione verso Pechino, forse addirittura la ricerca di una leadership “politica” diversa dal Dalai Lama. Tsering Choedup, coordinatore per l’Asia del Sud di International Tibet Support Network, parla ad AsiaNews dell’incontro fissato a Dharamsala dal 17 al 22 novembre, tra centinaia di leader tibetani e il governo e il parlamento in esilio, che ritiene “fondamentale” per il destino della tormentata regione.
Osserva che “per molto tempo il Dalai Lama ha cercato, con sincerità, una via di mediazione nel rapporto con la Cina, ma non ha ricevuto alcuna risposta positiva da Pechino. Ora questo incontro straordinario, fissato ai sensi dell’articolo 59 della nostra Carta, riunirà i nostri leader, intellettuali, gruppi privati scelti dal parlamento tibetano in esilio”.
C’è una generale sfiducia nel colloquio pacifico sempre cercato dal Dalai Lama. “Dopo la protesta di marzo – osserva – Pechino ha falsamente accusato il Dalai Lama di fomentare sommosse e proteste. In seguito i colloqui tra inviati cinesi e del Dalai Lama non hanno portato a risultati utili”. “Ora cercheremo la migliore strategia futura. Di certo, sarà comunque una via non violenta”.
“Il Dalai Lama ha rinunciato a chiedere l’indipendenza, domandando solo una maggiore autonomia per conservare la cultura buddista del Tibet. Ma i cinesi, nei recenti incontri, invece che cercare una soluzione, hanno rivolto parole al vetriolo contro il Dalai Lama e hanno rinnovato le false accuse di avere istigato le proteste di marzo”.
“Con questo incontro speciale il Dalai Lama vuole anche ribadire alla comunità internazionale che noi cerchiamo una soluzione tramite il dialogo, ma che non ci sono stati esiti positivi. Per cui, forse, ci può essere un’altra via – sempre non violenta - per risolvere la questione tibetana”.