Continuano le condanne di tibetani ad anni di carcere
La Cina tiene in carcere da marzo e condanna in silenzio chi ha protestato in Tibet e Sichuan contro la violenza della polizia e per ottenere maggiore libertà. All’epoca ci sono state proteste in tutto il mondo, che hanno fatto preoccupare Pechino.
Fonti locali riferiscono all’agenzia Radio Free Asia che di recente “la Corte intermedia del popolo di Ganzi, Sichuan, ha condannato i monaci Orgyen Tashi e Tenzin Ngodrub a 3 anni di carcere” per le proteste del 18 marzo a Ganzi, sebbene siano state “pacifiche”. Rimane “ignoto” il destino del monaco Lobsang detenuto con loro, ma “la cui famiglia manca del tutto notizie anche su dove sia in carcere”.
Le proteste sono esplose, per le violenze della polizia cinese, non solo in Tibet ma anche in Sichuan, dove ci sono vaste enclavi di etnia e cultura tibetane. Il governo tibetano in esilio denuncia oltre 200 morti e migliaia di arrestati, mentre la Cina dice che la polizia ha ucciso solo “un rivoltoso” e accusa i dimostranti di avere ucciso 21 persone.
Sono stati pure condannati a 3 anni di carcere per le proteste del 18 marzo i tibetani Pema Deshey, Tashi Palden, Goga e Sangpo, che “hanno subito gravi percosse sia nei 3 mesi nel carcere di Ganzi”, che “negli oltre 6 mesi poi passati nella prigione di contea a Xinlong”.
Oltre 200 tibetani sono stati arrestati per le proteste di Ganzi. Caricati su un autocarro, molti sono stati portati altrove sotto scorta armata e i loro effetti personali restituiti ai parenti. “Circa 20 sono stati rilasciati – spiega un’altra fonte – e un altro 70% condannati a detenzioni di varia durata”. “E’ stato pure condannato in segreto a 3 anni il monaco Sherab del monastero Khangmar”. “Il monaco Tsering Phuntsog di Khangmar ha ricevuto una condanna di 2 anni e mezzo e il giovane Palden Wangyal, 19 anni, a 3 anni”, sempre “in segreto, per timore delle reazioni dei tibetani”.
A marzo la repressione e gli arresti hanno causato proteste in tutto il mondo e proposte di boicottare le Olimpiadi di Pechino. Per calmarle, all’epoca la Cina ha accettato di aprire un “dialogo” con rappresentanti del Dalai Lama. Dopo le Olimpiadi, ha ribadito che considera il Dalai Lama “un terrorista” e non intende accogliere alcuna richiesta di autonomia per il Tibet o salvaguardia della sua cultura.